Che bello un corno! La società dei consumi ha creato un ulteriore mostro, fatto di ragazzini vestiti da mostri che vanno in giro a chiedere dolcetti, incuranti della loro prossima obesità e questo ve lo dice una persona che ha fatto della golosità una sua ragione di vita.
L'unica cosa che salvo di questa festa consumistica, che poco ha a che fare con la nostra millenaria cultura mediterranea, sono le strisce di Schulz con Linus che passa la notte nel campo di cocomeri ad aspettare il grande cocomero (a proposito, che poi questa del cocomero è una libertà che si è preso il traduttore, in realtà il grande cocomero è una zucca, come ci fa notare Artemisia), e lo speciale di halloween dei Simposon, il resto secondo me è spazzatura consumistica, fatta per darci un ulteriore festa con il solo scopo di aumentare gli acquisti di cose inutili nei supermercati e di organizzare serate a tema nelle discoteche, con ingresso minimo 30 euro.
L'Italia non aveva bisogno di questa festa, avevamo già il due novembre, festa dei morti, che nei miei ricordi di bambino per suggestione non aveva niente da invidiare a questa cosa.
Io il due novembre me lo ricordo come il giorno in cui i morti lasciavano le proprie tombe e tornavano nelle loro case. La tradizione voleva che si doveva imbandire la tavola con cibarie per far ristorare i morti, ricordo mia zia che giurava che nonno era tornato a casa e aveva mangiato il formaggio, le olive e il pane che lei aveva lasciato. Non le ho mai creduto, ma mi piaceva pensare che fosse tutto vero. Tradizione, quella di imbandire le tavole, che non era solo garganica o pugliese, come ho scoperto da questo post di Mitì Vigliero, ma era ben radicata in molte zone della penisola.
L'autunno inoltrato, il ritorno dell'ora solare, la scarsa illuminazione che il mio paese aveva in quegli anni, rendeva il tutto spettrale. Ricordo che ci riunivamo noi bambini davanti a casa e ci raccontavamo le storie dei morti. Come quello che si attardò a tornare a casa e venne portato nella tomba da qualche parente morto; come quella signora che si accorse che si diceva messa nella cappella del cimitero, ma venne cacciata da una parente defunta, perché quella era la messa dei morti; come quel panettiere che vide passare davanti al suo esercizio una processione fatta di soli scheletri. Mia madre non voleva che stavamo fuori fino ad ora tarda perché i morti ci avrebbero portato con loro al cimitero. Ricordo una mia amichetta che era rimasta in sveglia tutta la notte per rincontrare i suoi nonni defunti, che purtroppo non si materializzarono, ma la madre le disse che non erano tornati per non farsi vedere da lei.
In ogni finestra del paese c'era un lumino acceso, così da regalare uno splendido e lugubre, colpo d'occhio alle buie e strette vie sangiovannesi.
D'obbligo era la tappa alla chiesa di Sant'Orsola, luogo dove in antichità venivano seppelliti i morti e che leggende vogliono che di notte si sentano i loro lamenti. Andavamo lì, accostavamo l'orecchio sul portone, nella speranza di sentire qualcosa, ma non riuscivamo mai a sentire niente. Ma era bello uguale, perché il cuore ci batteva forte e la paura di piccoli abitanti di questo mondo ci assaliva.
Qualche anno fa, mentre parlavo al telefono con mia madre. Mi disse che erano passati dei bambini a fare dolcetto o scherzetto e che lei aveva dovuto comprare dei dolci, perché quei disgraziét minacciavano casa nostra con uova marce.
Ci fossi stato io a casa, uno schiaffo a questi marmocchietti nati e cresciuti nell'epoca del becero consumismo non glielo avrebbe tolto nessuno e se fossero venuti i genitori a lamentarsi, c'è n'era anche per loro.
L'unica cosa che salvo di questa festa consumistica, che poco ha a che fare con la nostra millenaria cultura mediterranea, sono le strisce di Schulz con Linus che passa la notte nel campo di cocomeri ad aspettare il grande cocomero (a proposito, che poi questa del cocomero è una libertà che si è preso il traduttore, in realtà il grande cocomero è una zucca, come ci fa notare Artemisia), e lo speciale di halloween dei Simposon, il resto secondo me è spazzatura consumistica, fatta per darci un ulteriore festa con il solo scopo di aumentare gli acquisti di cose inutili nei supermercati e di organizzare serate a tema nelle discoteche, con ingresso minimo 30 euro.
L'Italia non aveva bisogno di questa festa, avevamo già il due novembre, festa dei morti, che nei miei ricordi di bambino per suggestione non aveva niente da invidiare a questa cosa.
Io il due novembre me lo ricordo come il giorno in cui i morti lasciavano le proprie tombe e tornavano nelle loro case. La tradizione voleva che si doveva imbandire la tavola con cibarie per far ristorare i morti, ricordo mia zia che giurava che nonno era tornato a casa e aveva mangiato il formaggio, le olive e il pane che lei aveva lasciato. Non le ho mai creduto, ma mi piaceva pensare che fosse tutto vero. Tradizione, quella di imbandire le tavole, che non era solo garganica o pugliese, come ho scoperto da questo post di Mitì Vigliero, ma era ben radicata in molte zone della penisola.
L'autunno inoltrato, il ritorno dell'ora solare, la scarsa illuminazione che il mio paese aveva in quegli anni, rendeva il tutto spettrale. Ricordo che ci riunivamo noi bambini davanti a casa e ci raccontavamo le storie dei morti. Come quello che si attardò a tornare a casa e venne portato nella tomba da qualche parente morto; come quella signora che si accorse che si diceva messa nella cappella del cimitero, ma venne cacciata da una parente defunta, perché quella era la messa dei morti; come quel panettiere che vide passare davanti al suo esercizio una processione fatta di soli scheletri. Mia madre non voleva che stavamo fuori fino ad ora tarda perché i morti ci avrebbero portato con loro al cimitero. Ricordo una mia amichetta che era rimasta in sveglia tutta la notte per rincontrare i suoi nonni defunti, che purtroppo non si materializzarono, ma la madre le disse che non erano tornati per non farsi vedere da lei.
In ogni finestra del paese c'era un lumino acceso, così da regalare uno splendido e lugubre, colpo d'occhio alle buie e strette vie sangiovannesi.
D'obbligo era la tappa alla chiesa di Sant'Orsola, luogo dove in antichità venivano seppelliti i morti e che leggende vogliono che di notte si sentano i loro lamenti. Andavamo lì, accostavamo l'orecchio sul portone, nella speranza di sentire qualcosa, ma non riuscivamo mai a sentire niente. Ma era bello uguale, perché il cuore ci batteva forte e la paura di piccoli abitanti di questo mondo ci assaliva.
Qualche anno fa, mentre parlavo al telefono con mia madre. Mi disse che erano passati dei bambini a fare dolcetto o scherzetto e che lei aveva dovuto comprare dei dolci, perché quei disgraziét minacciavano casa nostra con uova marce.
Ci fossi stato io a casa, uno schiaffo a questi marmocchietti nati e cresciuti nell'epoca del becero consumismo non glielo avrebbe tolto nessuno e se fossero venuti i genitori a lamentarsi, c'è n'era anche per loro.