La prima parte qui
La seconda parte qui
“Tzè! – ripeteva a sé stesso – ‘Ste donne del Nord non hanno proprio umiltà! Ma che credono? Che tutto sia loro dovuto?”. Non sopportava l’idea d’aver collezionato magre figure una dietro l’altra e pensava che, come prima sera nella sua nuova città, aveva avuto parecchia sfortuna. Nonostante l’arrabbiatura c’era in lui la curiosità di vedere il posto in cui avrebbe iniziato, dal giorno dopo, a condurre la sua vita. S’era deciso a fare un giretto per il centro e, in poco tempo, l’aveva visto quasi per intero: il Duomo, il Battistero, la Piazza, le vie più importanti. E gli piaceva. Di tanto in tanto gli ritornava in mente l’armadio a muro, l’arroganza con cui gli si era presentato e la spocchia con la quale aveva fatto montare Vania sulla propria Mercedes quando stavano per andarsene, sgommandogli praticamente in faccia. “Eh, certo – rimuginava –: c’ha il macchinone, lui…”.
Intanto, poco fuori dalla città, Bruno (questo era il nome dell’armadio a muro) aveva deciso di “parcheggiare”, per il consueto “menage” con Vania. Questa volta, però, la ragazza pareva non aver proprio intenzione di concedersi. “Ma insomma, mi vuoi dire cosa cazzo ti prende stasera?”, sbottava esasperato il gorilla. Vania restava in silenzio.
La faccia nel finestrino, gli occhi ben oltre quel vetro. Così come la mente, attraversata da dieci, cento, mille pensieri, tutti differenti, tutti in un momento: anche stasera vuole la stessa cosa ma che ci faccio qui però mi eccita quando fa il duro non sono una troja vorrei fare l’amore non solo sesso perché mi tratta così domani ho lezione solo due ore che fortuna ma perché penso a quel ragazzo nudo di oggi?
In mezzo a quel marasma, a quello status confusionale, a quella matassa così ingarbugliata che era il suo cervello in quel momento, Vania trovò una motivazione plausibilmente veritiera: “No, niente amore, è solo che domani inizio lo stage in Comune come Addetta Stampa e sono un po’ nervosa. Te l’avevo detto, ricordi?”.
La mattina dopo Biagio si svegliò di buon’ora. Doveva iniziare il lavoro quel giorno e ciò lo elettrizzava.
Sbagliò strada un sacco di volte, nonostante il percorso studiato nella cartina gli era sembrato facile, e rischiò di venire investito un paio di volte da allegre vecchiette in bicicletta. Chiese la strada a quattro passanti, nell’ordine: un inglese che non parlava una parola di italiano, un extracomunitario sul posto da pochi giorni, un vecchio che raccontò che quando era giovane non c’erano tutte queste macchine e un signore già ubriaco di prima mattina…
Nonostante la sveglia mattutina di buon’ora, riuscì ad arrivare in ufficio con 10 minuti di ritardo. Non appena il capoufficio lo vide, disse: “Tu sei quello nuovo?”
“Sì!”
“Oè, nani! Se fai ritardo già il primo giorno, non voglio immaginare cosa farai fra due anni”. Biagio si guardò intorno e pensò “Cu spacchju è ‘stu ‘Nani’? ‘U jucaturi ‘i palluni?”.
Il capoufficio lo mise a sedere sulla sua scrivania e disse: “Ora ti mando qualcuno che ti dice cosa devi fare. Sta buono, eh…” Rimase per ben 2 ore da solo a non far niente, finché arrivò una signora bionda e leggermente soprappeso.
“Tu sei quello nuovo?”
“Sì”
“Allora ’scolta, nano: io vado un attimo a fare la spesa. Sta’ buono, che quando torno ti dico cosa devi fare”.
Biagio si guardò intorno e pensò: “Nano!?!? Ma se sugnu ‘n metru e sittantascingu!”.
Passarono altre tre ore di noia mortale. Vide un sacco di volte il capoufficio vicino alla macchinetta del caffè a discutere di calcio con i colleghi, ma non si azzardò ad alzarsi per fare amicizia.
Ritornò la signora, che smorzò subito la sua felicità dicendogli: “Manca solo un’ora alla fine del turno. Sta’ buono lì, che in un’ora non t’insegno niente.”.
E così Biagio passò l’intera giornata a non far niente e non disse neanche niente, quando sentì dire al capoufficio che domenica prossima la loro squadra doveva andare in Sicilia per i tre punti…
In contemporanea con L'Eco Di Dionisio
La seconda parte qui
“Tzè! – ripeteva a sé stesso – ‘Ste donne del Nord non hanno proprio umiltà! Ma che credono? Che tutto sia loro dovuto?”. Non sopportava l’idea d’aver collezionato magre figure una dietro l’altra e pensava che, come prima sera nella sua nuova città, aveva avuto parecchia sfortuna. Nonostante l’arrabbiatura c’era in lui la curiosità di vedere il posto in cui avrebbe iniziato, dal giorno dopo, a condurre la sua vita. S’era deciso a fare un giretto per il centro e, in poco tempo, l’aveva visto quasi per intero: il Duomo, il Battistero, la Piazza, le vie più importanti. E gli piaceva. Di tanto in tanto gli ritornava in mente l’armadio a muro, l’arroganza con cui gli si era presentato e la spocchia con la quale aveva fatto montare Vania sulla propria Mercedes quando stavano per andarsene, sgommandogli praticamente in faccia. “Eh, certo – rimuginava –: c’ha il macchinone, lui…”.
Intanto, poco fuori dalla città, Bruno (questo era il nome dell’armadio a muro) aveva deciso di “parcheggiare”, per il consueto “menage” con Vania. Questa volta, però, la ragazza pareva non aver proprio intenzione di concedersi. “Ma insomma, mi vuoi dire cosa cazzo ti prende stasera?”, sbottava esasperato il gorilla. Vania restava in silenzio.
La faccia nel finestrino, gli occhi ben oltre quel vetro. Così come la mente, attraversata da dieci, cento, mille pensieri, tutti differenti, tutti in un momento: anche stasera vuole la stessa cosa ma che ci faccio qui però mi eccita quando fa il duro non sono una troja vorrei fare l’amore non solo sesso perché mi tratta così domani ho lezione solo due ore che fortuna ma perché penso a quel ragazzo nudo di oggi?
In mezzo a quel marasma, a quello status confusionale, a quella matassa così ingarbugliata che era il suo cervello in quel momento, Vania trovò una motivazione plausibilmente veritiera: “No, niente amore, è solo che domani inizio lo stage in Comune come Addetta Stampa e sono un po’ nervosa. Te l’avevo detto, ricordi?”.
La mattina dopo Biagio si svegliò di buon’ora. Doveva iniziare il lavoro quel giorno e ciò lo elettrizzava.
Sbagliò strada un sacco di volte, nonostante il percorso studiato nella cartina gli era sembrato facile, e rischiò di venire investito un paio di volte da allegre vecchiette in bicicletta. Chiese la strada a quattro passanti, nell’ordine: un inglese che non parlava una parola di italiano, un extracomunitario sul posto da pochi giorni, un vecchio che raccontò che quando era giovane non c’erano tutte queste macchine e un signore già ubriaco di prima mattina…
Nonostante la sveglia mattutina di buon’ora, riuscì ad arrivare in ufficio con 10 minuti di ritardo. Non appena il capoufficio lo vide, disse: “Tu sei quello nuovo?”
“Sì!”
“Oè, nani! Se fai ritardo già il primo giorno, non voglio immaginare cosa farai fra due anni”. Biagio si guardò intorno e pensò “Cu spacchju è ‘stu ‘Nani’? ‘U jucaturi ‘i palluni?”.
Il capoufficio lo mise a sedere sulla sua scrivania e disse: “Ora ti mando qualcuno che ti dice cosa devi fare. Sta buono, eh…” Rimase per ben 2 ore da solo a non far niente, finché arrivò una signora bionda e leggermente soprappeso.
“Tu sei quello nuovo?”
“Sì”
“Allora ’scolta, nano: io vado un attimo a fare la spesa. Sta’ buono, che quando torno ti dico cosa devi fare”.
Biagio si guardò intorno e pensò: “Nano!?!? Ma se sugnu ‘n metru e sittantascingu!”.
Passarono altre tre ore di noia mortale. Vide un sacco di volte il capoufficio vicino alla macchinetta del caffè a discutere di calcio con i colleghi, ma non si azzardò ad alzarsi per fare amicizia.
Ritornò la signora, che smorzò subito la sua felicità dicendogli: “Manca solo un’ora alla fine del turno. Sta’ buono lì, che in un’ora non t’insegno niente.”.
E così Biagio passò l’intera giornata a non far niente e non disse neanche niente, quando sentì dire al capoufficio che domenica prossima la loro squadra doveva andare in Sicilia per i tre punti…
Continua...
In contemporanea con L'Eco Di Dionisio